domenica 17 maggio 2009

Il Karma Yoga

IL KARMA YOGA - Di Guido da Todi

Ogni pensiero e azione del passato ci legano inesorabilmente al nostro karma odierno, tuttavia proprio attraverso la stessa azione, quando è compresa ed agita in modo corretto, è possibile ricongiungersi con il Tutto...


Vivekananda considerava l’essenza del Karma Yoga la più nobile delle Vie Spirituali. La Bagavadh Gita è un compendio praticamente esclusivo di questo Yoga. Perché? In effetti, una delle caratteristiche fondamentali degli insegnamenti indù è il buon senso e la praticità immediata, anche se ciò non invalida l’altissima natura delle loro tradizioni.

Non è possibile afferrare il significato della legge del karma, se almeno non si è – in misura bastevole – intuita la natura delle cose universali: che è unità fondamentale, olismo ininterrotto, identificazione totale dell’apparente frammento con il tutto. La ripercussione di ogni atto e di ogni pensiero prodotti da noi avviene e si risolve, alla fine, in noi stessi solo per il fatto che non esiste soluzione di continuità fra l’illusione di una vita distaccata dal resto dell’esistenza e quest’ultima. Il gioco sottile e complesso della legge del karma, tuttavia, non costituisce lo scopo principale del presente articolo; dovrà, forse, venire rimandata ad uno dei prossimi.

Uno degli aspetti del buon senso della filosofia indiana si riferisce al suo modo di interpretare la celata fisionomia del presente ambientale d’ognuno di noi. La legge della reincarnazione costituisce il formidabile serbatoio di una totale fecondazione di cause, da parte dell’individuo, che si annodano agli effetti evidenti di questo suo presente ambientale. In poche parole, l’io è il motore di ogni propria azione; ma, una volta data la spinta che la produce, l’azione stessa diviene il motore dell’io. Si tratta di un gioco delle parti assolutamente irrinunciabile.

Ecco, se potessimo scattare l’istantanea della vita di uno qualsiasi tra di noi, quanto verrebbe alla luce – esotericamente parlando – sarebbe un prodotto complesso e molto difficile da scomporre, nei suoi elementi costituenti. Immaginate una pesca acerba, e supponete di volere distaccare con le vostre stesse mani il suo nocciolo dalla polpa ancora verde. Il risultato di questo atto mostrerebbe la parte dura e centrale del frutto, ma con massicci frammenti di polpa che fanno un tutt’uno con esso; tanto è praticamente impossibile separare il centro dalla periferia, quando i tempi non sono quelli giusti. L’esempio – evidentemente grossolano – indica, con una certa precisione, il rapporto che ognuno di noi ha con il suo attuale karma. Volere rinunciare ad esso, in modo inconsulto, violento ed irrazionale costituirebbe un’azione simile a quella che abbiamo appena immaginato, in riferimento alla pesca acerba.

Il nostro karma attuale costituisce il baricentro ultimo delle forze e delle azioni emesse in un passato, più o meno lontano, e la spinta trainante che conduce gran parte della nostra esistenza. Il dharma, invece, è l’atto mentale che ne riconosce la fisionomia e si adatta ad essa, con il proprio comportamento quotidiano. In effetti, questa è già una notevole indicazione per l’individuo che voglia intervenire nel proprio destino.

Qualunque malumore, generato dalla nostra insoddisfazione per la vita che conduciamo, per il lavoro che facciamo, per l’ambiente in cui viviamo rappresenta un’energia inutilmente sprecata. In modo giusto, o errato, siamo stati noi gli unici responsabili di quella soluzione latente di forze, che stanno rapprendendosi attorno a noi ed in noi. Non è possibile liberarcene, almeno in modo violento.

A questo punto non risulta inutile un cenno a quelle azioni ribelli, che molti commettono sovente. Essi abbandonano, all’improvviso, la compagna, o il compagno; i figli; il lavoro che li delude. Insomma, staccano il contatto con la ruota che gira in una determinata direzione, e – come un elettrone che cambia orbita – si incasellano in un altro vortice di vita; nella creazione di nuove abitudini, di una nuova esistenza. Ma, la ruota continua a girare... Essi non hanno il potere di interrompere quel flusso di energia in cristallizzazione operativa di quanto hanno creato nel loro passato. In tal modo, provocano altro karma; ma, non eludono quello antico; che si ripresenterà, prima o poi. E la loro fuga si sarà risolta in un bel nulla di fatto.

Cosa dice, allora, in proposito, la filosofia indiana del Karma Yoga? Cosa dice Vivekananda? E cosa insegna la Gita? Intanto – e ciò è un fondamento di altissima rilevanza spirituale – che non importa, nella vita, desiderare disperatamente un destino di suprema nobiltà formale; e neppure temere di esprimerci in azioni che consideriamo mediocri e prive di smalto e di significati profondi. Nella vita importa solo capire e compiere ciò che è giusto fare, in quel momento.

La suprema nobiltà formale, lo smalto e cos’altro si possa desiderare, magari, diverranno una conseguenza di quanto è opportuno, per il momento, realizzare, nella giusta direzione, ora e adesso. Solo in tal modo riusciremo a costruire quel canale in cui rosolerà e si consumerà la pietra da macina che portiamo appesa al collo: il nostro karma pesante e, spesso, doloroso... Attenzione, ciò non vuol dire accettare e subire passivamente, ed in modo beota, qualunque costrizione la vita ci stia imponendo. Indica solo la saggezza e l’abilità di saperci svincolare, nell’unico modo armonico e sano, da una stretta soffocante, che rischia, spesso, di annientarci, nel corso di questa nostra esistenza.

Tuttavia, abbiamo parlato di unità del tutto. Il Karma Yoga afferma che ognuno di noi rappresenta una tessera parziale di un universo illimitato. Chi si oppone a questo dato di fatto, oppure non lo conosce, è destinato ad una espressione tronca del Sé: in poche parole, all’infelicità.

L’intera tradizione del vero spiritualismo tende alla sperimentazione della Vita Totale. Aderire al nostro dharma, ed accettarlo con cristallina consapevolezza delle motivazioni cosmiche che si trovano dietro ad esso, per incanto ci unifica alla Vita Totale; verso la quale non opponiamo più, di conseguenza, alcuna resistenza attiva, o passiva. Ogni senso delle dimensioni, allora, risulta impossibile a comporsi. Non esiste, qui, un più grande, o un più piccolo. Esiste solo quel componente che, saldandosi con l’intero, fa confluire in esso ogni tensione ed ogni opposizione personale. La parte si accorge di essere divenuta un' accentuazione palpitante del tutto. Di essere il tutto. E di gioire, tramite l’esecuzione di un agire personale, della gioia impersonale, che possiede delle risonanze prive di limite e di estensione.

Il karma yoghi vive in discesa ogni suo atto quotidiano; ossia, senza opporsi ai doveri che incombono sulla propria vita, e che egli ha tutti riconosciuti, nell’attimo della sua originaria espansione di coscienza. In tal modo, non soltanto esaurisce e scioglie tutti i legami reincarnativi che lo avvincevano ai tre mondi dell’illusione formale, ma, pure, salda ed unisce la tessera che rappresenta il frammento personale del mosaico al grande affresco cosmico, di cui quella è parte costituente.

Potrei esprimervi la mia personale esperienza, in proposito. Non credo possa esistere gioia più acuta e indicibile del sentimento che invade l’animo, quando si osserva il proprio io, mentre, con la massima partecipazione, aderisce all’intero dharma della sua vita: dalle minime incombenze, all’arco totale del proprio complesso ciclo reincarnativo.

Si narra di un giovane yoghi indù, il quale passò degli anni in meditazione, nel folto di una foresta. Un bel giorno, egli guardò con fastidio un uccello, che lo disturbava con il suo canto. Ed il volatile cadde a terra fulminato. Lo yoghi stabilì, allora, di aver raggiunto dei poteri straordinari, e che era giunto il momento di tornarsene fra gli uomini. A sera, giunto ai limitare di un paese, bussò ad una casa modesta, per chiedere da mangiare. La donna anziana che gli aprì gli disse subito:" Attendete, sadhu, che io mi occupi dei bisogni del mio sposo. Tra poco tornerò a voi, e vi offrirò la cena..." La risposta parve poco rispettosa allo yoghi, che, evidentemente, si attendeva la priorità su tutto e tutti, visto il rango spirituale che riteneva di essersi guadagnato. E, senza accorgersene, guardò con sguardo seccato la donna.

"Non crediate che io sia un uccello, per potermi fulminare, sadhu! – gli ribatté quella – "Ho dei doveri da compiere. Ma state pur tranquillo, che immediatamente dopo toccherà a voi..." L’uomo rimase folgorato. Come sapeva quella anziana signora la storia dell’uccello? A cena, con cautela, glielo domandò. "Vedete, sadhu, il mio maestro mi ha insegnato che, compiendo esattamente tutti i miei doveri con gioia e con dedizione, mi sarei fusa con l’universale. Questa è la ragione per cui ho raggiunto la luce e l’unione con Dio..." La storia continua, ma voglio interromperla per indicare che l’essenza del Karma Yoga è tutta qui. Quando se n’è afferrato lo spirito, ognuno di noi diviene consapevole del canotto minuscolo che rappresenta il suo io, circoscritto dal proprio karma reincarnativo. Egli sente e vede i confini di questo karma, con una vivezza incredibile.

Aderendo al suo dharma, con gioia e distacco, vive, allora, una tra le massime esperienze metafisiche. Pur se ancora stretto ai legami dei tre mondi, prova già intensamente la completa liberazione da essi e da tutto ciò che è relativo. Ogni minuto della sua giornata è, in lui, un atto sacro di meditazione, di congiungimento a Dio, di eucaristico rapporto con la Realtà Una. Egli è oramai un karma yoghi. Egli è un liberato!

Tratto da: nonsoloanima.tv

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